E questo è il caso, quando ad aprile mi è capitata tra le serie consigliate sull'app RaiPlay, il banner ha catturato la mia attenzione, ho scoperto che è il seguito di un film e dato che anch'esso è presente nel catalogo, nella tarda mattinata domenicale del 24 aprile me lo sono sparato.
Phaim è un giovane musulmano di origini bengalesi nato in Italia. Vive con la famiglia a Roma, a Torpignattara, quartiere romano multietnico, lavora in un museo e suona in un gruppo. Ad un concerto incontra Asia e scatta l'attrazione.
Il giorno dopo ho subito iniziato la serie, che conta solo 8 episodi da 25-28 minuti ciascuno, concludendola il giorno seguente.
Roma, giorni nostri. Phaim e Asia sono due mondi lontani e, a prima vista, incompatibili. Musulmano e radicato nelle tradizioni familiari bengalesi lui, atea e figlia di genitori separati lei. Eppure, nonostante tutto, si amano. La serie è tratta dall'omonimo film "Bangla", di cui prosegue le vicende.
Phaim Bhuiyan scrive, dirige e interpreta sia il film che la serie, che come argomento principalmente hanno la differenza culturale tra l'emancipata Asia che l'ha già data a destra e manca e il bangla, religioso praticante, che vorrebbe arrivare vergine al matrimonio. Ma questa è solo la punta dell'iceberg, poco a poco emergono altre differenze culturali che mettono i bastoni tra le ruote alla loro storia d'amore.
Ma proprio perché fatta da un italiano di origini bengalesi, non c'è alcun fine politicamente corretto e buonismo, 'ste zozzate le fanno solo i bianchi, ipocriti che vogliono sensibilizzare ma che invece fanno solo incazzare di più. Nessun messaggio nell'intento di sensibilizzare verso gli immigrati o chi ha un colore diverso, c'è solo un episodio che affronta il razzismo e lo fa in modo toccante, un piccolo dramma che avvicina padre e figlio, valorizzando il primo che fino a quel momento era stato una macchietta.
Non ho capito perché si definisce "50% bangla e 50% torpigna" perché i genitori sono entrambi bengalesi... quindi è 100% di origini bengalesi, italiano perché nato e cresciuto qui.
Esclusi gli adulti immigrati, i giovani personaggi bengalesi sono tutti di seconda generazione e quindi parlano tutti italiano, romanesco per la maggiore. Purtroppo noi romani abbiamo il difetto di mangiarci le parole, spesso non scandiamo e non fanno eccezione gran parte degli attori che spesso si fa fatica a capirli, anche se sei romano come loro (e purtroppo mancano i sottotitoli). Oltre a questo, quasi nessuno eccelle nella recitazione, sia i comprimari che il protagonista. Si salvano il bravissimo Pietro Sermonti (Boris); la brava Carlotta Antonelli (Suburra) e i bravini Simone Liberati (l'amico spacciatore) e Raja Sethi (che dovrebbe essere l'imam ma a me sembra più un santone indiano).
Il punto forte sono le vicende di tutti i personaggi. In questo il giovane romano non ha nulla da invidiare a tanti sceneggiatori di commedie americane, riesce a coinvolgerti e a farti incollare allo schermo, nonostante i molti difetti.
Tra il film e la serie sono passati 3 anni, non so se per colpa della pandemenza o perché l'OK è arrivato dopo, ma la cosa si vede, soprattutto su due personaggi che nel frattempo hanno lievitato, ovvero la sorella del protagonista e uno degli amici bengalesi che fanno parte della band. Sarà stata colpa della quarantena che ci hanno imposto a marzo e aprile 2020?
Tra i tanti pregi e i pochi difetti, il film e la serie Bangla sono "Ema-approved", li consiglio a tutti ma soprattutto a chi ama la commedia, le serie con adolescenti o post adolescenti, ancora di più se avete voglia di qualcosa italiana ma con un pizzico di originalità.
Vidi il film tempo fa, non sapevo manco della serie, che comunque difficilmente vedrò, non adesso almeno.
RispondiEliminaLo capisco perché non è manco lontanamente il tuo genere. Ora cerco sul tuo blog se ne hai parlato 😉
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